venerdì 19 novembre 2010

Norma CEI 81-10/2 - EQUILIBRATA ??

La norma CEI 81-10/2 al punto A4 dell'allegato A a proposito del calcolo del numero di fulmini che una linea elettrica può raccogliere per consentire loro di scaricarsi nell'impianto in esame da eventualmente proteggere propone di tener conto della sua lunghezza Lc così definita : Lc è la lunghezza della sezione del servizio dalla struttura al primo nodo ( m ) . Può essere assunto un valore massimo Lc = 1000 m.
Più sotto si legge ancora " quando il valore di Lc non è noto, si deve assumere Lc = 1000 m".

In una tesina a firma delle laureande Patano Domenica e Sgaramella Adriana dal titolo "Reti di distribuzione MT e BT" con la guida dei docenti. prof. ing. Pasquale Pugliese e prof. ing. Marco Bronzini (Università di Bari ), si legge quanto segue:
"Il raggio d’azione, a titolo indicativo, risulta:
1) nelle zone centrali dei grossi agglomerati urbani al massimo 100 metri;
2) nelle zone extraurbane industrializzate circa 300 metri;
3) nelle zone agricole poco industrializzate oltre 1000 metri."

Poiche la protezione è molto costosa concludo che la norma è molto attenta alla salute delle persone e molto meno alle loro tasche. Non vi pare ?

Propongo che i normatori a fronte di un poco costoso approfondimento ( verifica delle lunghezze attribuibili alle linee ) implementino la norma, per coloro che non sono in grado determinare, cosa non facile, il nodo "misterioso", suggerendo valori della lunghezza da adottare più aderenti alla realtà senza imporre come sta accadendo nella indifferenza generale, costi impropri alla gran parte dei cittadini.
Mi chiedo: ma la norma tecnica non dovrebbe tutelare i cittadini!?!?

domenica 7 novembre 2010

Un buco nella norma CEI 64-8. Secondo intervento.

Riprendo il punto già toccato qualche giorno fa.
Si dimostra nel contempo che se la regola d’arte non coincide necessariamente con la norma tecnica, cosa che si sapeva, vale anche l’affermazione che un impianto a norme CEI non necessariamente è a regola d’arte nel senso più pieno del suo significato, come qualche magistrato ha certo nel passato già affermato.
Da catalogo di comuni trasformatori di primaria multinazionale elettromeccanica: trasformatore 20/0,4 kV, Pn 1.250 kVA, 6 % vcc, 13.000 W perdite nel rame a 75°C, 1808 A corrente nominale al secondario. Il cosfi naturale del trasformatore risulta pari a 0,173.
La corrente di corto circuito di massima vale 30.133 kA. Una serie non molto potente di interruttori automatici scatolati per distribuzione di potenza della stessa primaria multinazionale elettromeccanica dispone di un potere di interruzione nominale limite in corto circuito Icu pari a 36 kA ( 380/415 V ), pari a quello di servizio Ics ( 100 % ). La possibilità di utilizzo di questa serie di interruttori nel quadro posto immediatamente a valle di un trasformatore uguale a quello sopra richiamato sembra legittima e anche la più economica. Un tale utilizzo ci si può legittimamente aspettare oggi da una progettazione ordinaria, che nasca da un ufficio di progettazione puro o da riferire direttamente agli installatori.
In realtà tale soluzione però non è a regola d’arte, perchè non è sicura.
Per poteri di interruzione degli interruttori superiori a 20 kA e inferiori o uguali a 50 kA, come nel caso esaminato, il fattore di potenza, cui riferirli è 0,25. Ben più alto di quello ( 0,173 ) dell’impedenza del circuito, che determina lo sfasamento della corrente di guasto a valle del trasformatore incriminato rispetto alla tensione che la determina.
Purtroppo anche l’utilizzo di un interruttore con potere di interruzione superiore o pari a 50 kA non risolve il problema. Disporremmo così forse di un impianto a norme CEI, un po’ meno insicuro, ma certo non a regola d’arte. Il cosfi di riferimento del suo potere di interruzione ( 50 kA ) risulta pari a 0,2, ancora superiore a 0,173.
Ho chiesto aiuto ad un noto costruttore di interruttori. La sua risposta nel caso specifico consiglia all’utilizzatore di chiedere al costruttore stesso di eseguire delle prove ad "hoc" per dimostrare l’idoneità degli interruttori, in quanto ovviamente non potrà mai dichiarare che gli interruttori vanno bene anche nel caso prospettato.
Non capisco come a distanza di più di dieci anni dalla mia denuncia sulla rivista AEIT della vigenza di impianti palesemente insicuri, almeno secondo i canoni del giudizio comune, rimanga sempre e solo in capo ai progettisti e agli installatori l’eventuale responsabilità di danni per uso improprio degli apparecchi, di cui abbiamo detto, anche se il caso prospettato rientra nella quasi ordinarietà dell’impiantistica che riguarda la cabine di trasformazione.
Ma siamo sicuri che al CEI e ai costruttori stia a cuore la sicurezza degli utenti degli impianti elettrici! Da persone di mondo possiamo perdonare forse i secondi, ma il CEI no ! Dobbiamo credere veramente che gli esperti del CEI non leggono la rivista dell’AEIT ? Può il CEI non rispondere per anni al suo primario dovere di dare agli operatori del settore elettrico strumenti normativi non pericolosi nel comune impiego ? Non si tratta di nuove applicazioni!
Faccio notare che sul catalogo dell’importante costruttore, che descrive le caratteristiche elettriche secondo IEC 60947-2 dei propri interruttori, non sono riuscito a leggere quale cosfi massimo debba essere associato alle classi dei poteri di interruzione proposti.
Il problema si può estendere incredibilmente pari pari anche ai quadri elettrici di potenza e alle blindosbarre. Su questo argomento le norme si sono fossilizzate su posizioni che forse avevano un riscontro positivo 30 anni fa! E’ mai possibile ! Viene il dubbio che anche a livello internazionale gli esperti del settore alla fine mediamente abbiano più a cuore la difesa di posizioni dominanti sul mercato che non la sicurezza delle persone.
Chiedo di conoscere il pensiero dei colleghi e degli installatori in proposito.